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I Nostri Scritti

Discussione in 'Lo scannatoio' iniziata da Supernova, 5 Gennaio 2008.

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  1. Varil

    Varil Galactic Guy

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    La morte della poesia

    A lungo ho disperatamente cercato il trascendente
    Ma non l'ho mai trovato
    Non lo avverto, non lo sento, non c'è
    È un'assenza insopportabile
    Che senso può avere la poesia
    Se l'immaginazione non è creazione?
    Che senso può avere la felicità
    Se è solo cerebrale illusione?
    Se non c'è nulla oltre la grezza materialità
    Che è fredda e caotica
    L'arte non sarà mai divina
    Ma solo un umano arbitrario costrutto
    Brucio la poesia della vita
    La trascendenza è morta
    Fatta a pezzi dall'inesorabile consapevolezza
    Dall'annichilente inevitabile disillusione
    Che prima o poi giunge e spazza via
    Ogni onirica speranza, ogni surreale visione
    La poesia è morta
    O meglio, non è mai esistita
    Il significato è assente
    E giace in un'astrazione che non può reggere
    L'aldilà è follia
    L'inferno immanente di questo mondo
    Regna incontrastato sulla mia bugiarda fantasia
    Pervade e ammanta ogni atomo del mio essere
    E ha asservito al suo dominio tutte le cose
    Immaginifiche di un'anima che guardandosi allo specchio
    Si è scoperta solo mera e mortale chimica
     
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  2. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    e io che pensavo di essere il pessimista più disilluso da queste parti...:emoji_disappointed:
     
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  3. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Solitudine abissale

    Onde cosmiche, brillanti veli diafani nel buio
    Fasce fatue leganti anime in simbiosi
    Fati incatenati che fluttuano nell'ignoto
    Nel cuore dell'oscurità abbacinante del Tutto
    Viandanti stellari solcando mari di vuoto
    Ho perso di vista il cuore
    L'ho riesumato nell'oblio infinito amorfo

    Ho lasciato il subconscio a vagare
    Nelle tenebre del male astrale
    Sprofondare nel nero mare
    Nel vortice temporale
    Alla ricerca di mani
    Dall'altra parte della frattura ancestrale
    Ho scorto milioni di dita
    Ma non ho trovato le tue

    Ho lasciato il delirio viaggiare
    Saltando da illusioni ad allucinazioni
    Alla ricerca di occhi
    Dall'altra parte della lesione spirituale
    Ho scorto miliardi di balenanti iridi
    Ma non ho visto le tue

    Sì, questo universo non ha un senso
    Se il tuo spirito è solo e disperso nell'immenso
    Nessuno, nessuno, nessuno...
    Allora infine, stanco, chiudo gli occhi
    È tempo di partorire un mio universo interno
    Che sia questa volta significante
    E non più alienante
    Vedrò infine i tuoi occhi
    E stringerò la tua mano
    Giacché finalmente tu per me sarai quel
    Qualcuno, qualcuno, qualcuno...
     
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  4. alaris

    alaris Supporter

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    Bellissima...mi ha commosso, complimenti!
     
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  5. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Addirittura? Haha. Grazie :emoji_heart_eyes:
     
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  6. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    beh, almeno 'sta volta un barlumino di consolazione mi pare di averlo percepito...
     
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  7. kara.bina

    kara.bina Livello 2

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    uh che bello questo thread, non lo avevo mica visto mai!
    Se non vi dispiace ci scrivo qualcosa anche io, di vecchio però, perché sono molti anni che non scrivo più.
    ma qualcosina d'archivio ancora ce l'ho e ve la voglio condividere.

    questa cosa l'ho scritta nel 2007, portate pazienza eh...
    Titolo: Katia
    immagine: di casa mia

    Mio padre è sempre stato un uomo povero, ci è nato, ci è vissuto e ci è morto da povero, da povero e da ignorante. Non ha mai avuto manie di grandezza, anche se tutti i soldi che guadagnava li spendeva per la casa, per la famiglia, per le tv ( prima in bianco e nero e poi a colori), per le biciclette, e per i motorini (quanti motorini...), per arrivare ad un motocarro che ha dovuto abbandonare all'età di 75 anni perché l'arteriosclerosi non gli consentiva più di guidarlo e lui non se ne faceva una ragione dato che il motocarro a sentir lui lo guidava soprattutto con le braccia visto che era dotato di manubrio proprio come un motorino con i comandi sui manubri proprio come un motorino, tranne che per il freno, quello era a pedale, e lui diceva che aveva solo un po' di insensibilità alle gambe. Si dovette rassegnare. Non erano manie di grandezza, non ne sarebbe stato capace anche potendolo, erano manie di piccolezza, gli piaceva stare al centro dell'attenzione ma non avendo strumenti intellettuali per farlo sopperiva acquistando cose, cibo prelibato quando poteva, primizie di stagione. A volte si esaltava quando poteva essere al centro dell'attenzione pur non utilizzando quattrini. Alla nascita della sua quarta figlia decise che voleva lui decidere il nome da darle esattamente come per gli altri tre. Questa cosa gli piaceva molto, la nascita di un figlio lo gasava, poterne decidere il nome dato che non poteva in alcun modo contribuire al parto lo mandava ad ubriacarsi per festeggiare, erano sbronze che si trascinava anche per alcuni giorni, e immancabilmente al momento di registrare i propri figli all'anagrafe combinava qualche casino, ne imbroccò uno su quattro, di due sbagliò data di nascita, di uno il nome. Mia madre si impuntò quel giorno, non voleva chiamare sua figlia col nome suggerito da mio padre, ma mio padre si ostinò e non cedette al nome che mi madre aveva scelto, si stavano accapigliando quasi quando mia madre, per porre fine alla questione, propose un nome lì per lì, preso da un fotoromanzo che stava distrattamente sfogliando e mio padre accettò.
    Katia, era il nome della protagonista fotografata sulla rivista, e Katia fu, ma non del tutto. Per molti, moltissimi anni, Katia era convinta di chiamarsi Katya, mio padre lo avrebbe anche giurato se glielo avessimo preteso, e Katya era entusiasta di portare quel nome che mio padre osannava come fosse una perla rara, e lei lo ricambiava portandolo con sfarzo ed orgoglio proprio come si indossa un abito importante. Ma un bel giorno tutti i nodi vennero al pettine. Una lettera dall'ufficio delle imposte o quacosa del genere arrivò a casa insinuando che dovevamo pagare una multa in quanto due dei miei fratelli risultavano registrati in anagrafe con data diversa da quella riportata sul codice fiscale. Ci fu un senso di smarrimento in casa alla notizia soprattutto perché la contravvenzione da pagare era salata. Quando poi invece scoprimmo che anche il codice fiscale di Katya era sbagliato, in quanto in anagrafe lui l'aveva registrata con Katia, non se ne fece capace, era già vecchio quando lo scoprimmo, iniziava già a vivere di ricordi, belli, e questa notizia per lui non ci voleva, negò per più di un anno, per più di un anno ci pensò sopra. Infine cedette, tutto in lui cedette poco a poco, giorno dopo giorno, definitivamente cedette seduto su una seggiola mentre osservava quello spicchio di mare che ancora reggeva al cemento guardato attraverso il vetro della veranda in una mattina di giugno, cessò semplicemente di respirare. Non è vero che Katia non mi piace, non è mai stato vero, ma io l'ho conosciuta come Katya.

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  8. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    :emoji_grin: ma poi anche :emoji_cry:
     
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  9. kara.bina

    kara.bina Livello 2

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    eh, ero tristarella all'epoca :D
    --- MODIFICA ---
    Sempre nel 2007 :)


    Odore di crostata al forno

    nel piano sottostante la mia abitazione abita una gradevolissima signora, la conosco da tutta la vita e da che ho memoria mi ha sempre incuriosita.
    a lungo ha vissuto da sola con sua madre - donna dalla passione smisurata per le piante d'appartamento con le quali addobbava non solo la sua casa, ma anche tutti i pianerottoli delle scale, un piacere salirle fino all'ultimo gradino (piano in cui io abito), scomparsa una ventina d'anni fa, o giù di lì. non ho mai parlato con questa donna - molto più grande di me - almeno fino a poco oltre un anno fa, il fatto curioso che la contraddistingueva, e contraddistingue ancora in parte ora, è la sua capacità di svicolare con maestria ad ogni incontro vis a vis, lesta come un animale selvatico svaniva dietro una triplice mandata – fu la prima della palazzina ad essere fornita di blindato – impedendo a chiunque un semplice “buongiorno”. ogni rumore proveniente dalla sua abitazione - che non fosse il consueto appuntamento della domenica mattina, di ogni domenica mattina con la musica classica sparata al massimo del volume - era un evento particolare:
    poteva essere il tecnico della lavatrice, oppure suo fratello che veniva ad accertarsi che fosse ancora viva, o semplicemente il fabbro – questo solo in questi ultimi tempi – che veniva a sfondare la porta perché la donna aveva dimenticato le chiavi all’interno, o, nel caso più eclatante, quando lei stessa venne a suonare alla mia porta perché accusava uno strano malessere, e il suo telefono non era funzionante. ovvio che chiamammo il 118 (o è il 113? faccio confusione coi telefilm americani, ah no, quelli mi pare abbiano il 911), ma stendiamo un velo pietoso sull’ambulanza e la sua equipe, che se non fosse stato per la donna stessa, la quale non sapeva spiegare i propri dolori e proprio in virtù di questo s’impuntò però come una bambina per farsi portare in ospedale, cocciuta come un somaro la spuntò, per sua fortuna, non avrebbe retto altre due ore. era natale, dopo circa un mese uscì e ringraziando me e la mia famiglia la sentii per la prima volta pronunciare più di una parola in fila, ed anche di senso compiuto. ci era molto grata e da quel giorno se ci incontriamo nelle scale mi saluta, ma se può, se capisce di poter fare in tempo, gira ancora la tripla mandata.
    è una bella signora, l’età è ormai avanti ma lei è sempre bella, da giovane lo era indubbiamente molto di più anche se la moda con lei non ha lasciato nessun segno, porta ancora lo chignon in testa, solo per gli abiti si è omologata un po’, ora predilige felpe e scarpe da ginnastica, un tempo ancora gonne molto lunghe e maglioni a coprirla interamente.
    l’ho pensata tante volte in quella casa da sola, mi soffermavo a pensare a me, che di diverso da lei, a ben guardare, c’è poco, pensavo al mio computer che lei non ha, solo un giradischi e una tv, ora forse anche un cellulare. e cercavo di immaginarmi le sue giornate, che vive, è indubbio questo; tante volte mi vedevo catapultarmi verso il suo blindato e bussare pregandola di farmi entrare, con una scusa qualsiasi, per farle compagnia, per raccontarle di me, per sentire la sua voce.
    ieri sera salendo le scale con mia madre, all’altezza del terzo pianerottolo sentimmo un odore forte di crostata, o ciambellone; mia madre fa:”deve’essere V.”
    mi sono ritrovata quell’odore prepotente sulle narici, e per quanto il blindato, doveva fuoriuscire dal foro della serratura, se non dai muri stessi; quell’odore era palpabile: di primo acchito – sarà capitato a tutti – sembra quasi di poter godere del gusto oltre che dell’odore di lì a poco, è una sensazione che dura un istante per lo più, poi svanisce, e ti resta solo quell’odore da percepire, da assaporare, insieme all’immaginazione di lei: la vedevo presa tra i fornelli, alternativa a Chopin, godere di quel fatto inusitato come fosse stato un’amante. mi sono ampiamente rivista in questa immagine, io che godo delle mie brioche farcite alla nutella nel tiepido tepore rassicurante della mia stanza, come se non mi servisse altro, per vivere.
    ho percepito nitidamente, sì, l’odore di crostata, farcito abbondantemente di solitudine, per la prima volta in tutta la mia vita l’ho sentito distintamente, inconfutabilmente.
    la solitudine è qualcosa che si sente, si tocca anche, filtra dagli stipiti e dai fori delle serrature, anche dai muri, a volte.
     
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  10. Varil

    Varil Galactic Guy

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  11. Mesenzio

    Mesenzio Contemptor Deum Editore

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  12. kara.bina

    kara.bina Livello 2

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    M'illumino d'immenso :emoji_grinning::emoji_blush::p
    non ne ho molte, 4 o 5 in tutto, poi ne ho forse un paio ma hot e non si possono pubblicare ;)
    Con tutto ciò che quelle non so neppure dove le ho nascoste :D


    sono diventata grande

    a volte mi è capitato di sentirmi bene con me....
    altre invece mi sono sentita vecchia; qualche volta femminile e carina, ma più spesso un maschiaccio; delle volte mi sono sentita cattiva al limite del vendicativo e quante volte mi sono sentita brutta! dentro, fuori, intorno a me;

    per non considerare poi tutte le volte che mi sono sentita stupida, altre invece, intelligente, ma, non capita.
    poche volte furba e scaltra, molto più spesso ingenua, al limite della stupidità.

    qualche volta mi sono sentita innamorata, e fu bellissimo; altre invece, tradita.

    mi sono anche sentita amata, di amori diversi, uno è stato fugace, talmente tanto che la sua lama tagliente ha reciso senza farsi notare, l'altro invece, è più caldo, più avvolgente, di quelli che non vogliono mollare, si chiama madre.

    qualche volta è capitato che mi sentissi sola, qualche volta, qualche volta ancora.
    ma è capitato anche che mi sentissi felice, e piansi per questo, sapevo che non poteva durare.

    mi è capitato di fare del bene agli altri, o così ho creduto, in realtà ci sarebbe da sentirsi fessi.
    a volte mi sono sentita fessa, imbambolata, infinocchiata, perfino violentata.

    poi a volte invece mi sono sentita vuota, altre svuotata, tanto che qualsiasi cosa entrasse era una cosa di troppo, il vuoto, si sa, occupa tutto lo spazio.

    qualche volta mi sono sentita bambina, tanto tempo fa, lo ricordo appena poiché non lo sentivo quasi mai, altre volte invece mi sentivo in guerra con dio, in balia del demonio, e forse caddi anche, qualche volta.

    altre cose mi sentii, sicuramente, così come altrettanto sicuramente sentii di non sentirmi mai grande, mai abbastanza, per chiedere scusa, per chiedermi scusa.
     
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  13. Alena Slowhand

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    Con l'avvento di internet scrivono tutti... io ne ho fatta una professione ma non primaria, perché comunque i guadagni, perché si parla di 250 copie cartacee in cinque anni, sono risibili e ti salvano giusto il mese in cui vengono versati, perché tra le cose le percentuali di guadagno sono molto basse (si va dall'8 al 10%, in un contratto normale). Diverso se pubblichi in e-book, che vende di più, soprattutto se ami smanettare con i lit blog e le riviste digitali e su internet sei un po' ovunque. Ci sono autrici romance che ci fanno dei bei soldi.

    Di racconti miei non ne potrei mettere, perché sono destinati alle riviste e non posso (se rendi pubblico uno scritto poi in molti non lo vogliono più), ma questo lo inserisco e amen... tanto anche le riviste non pagano.

    Il cappello del signor Lusetti recitava a gran voce parti cantate dei musical più recenti, brani di prosa delle pièces in cartellone e scene dei film in programmazione nelle sale.
    Lusetti, che in quel periodo era spesso fuori per lavoro, aveva un figlio. Uno scheletrino pelle e ossa come molti adolescenti, che annaspando e sbuffando passava dalla camera da letto, in cui teneva tutti i suoi videogiochi, alla cucina, dove si preparava grandi tazze di caffellatte.
    Il figlio del signor Lusetti aveva il vizio di dissezionare le giovani rane che entravano dalla finestra, per poi mangiarle.
    Il figlio del signor Lusetti era attratto dal capello del padre. Lo rubava per poi portarlo con sé. Lo portava all’opera, al cinema e poi a mangiare quel ridicolo “fish & chips” nei baracchini lungo la strada.
    Il figlio del signor Lusetti doveva assumere delle medicine. Aveva un’infermiera meschina dai capelli rossi che lo torturava e lo riempiva di telefonate dal Centro di Salute Mentale, se non si recava a effettuare l’iniezione; il suo unico amico, così, era quel cappello.
    Il figlio di Lusetti piangeva e si disperava perché la mattina non aveva più erezioni spontanee e doveva passare delle mezz’ore a masturbarsi per cercare di farlo alzare, mentre il cappello cantava a gran voce e recitava lì di fianco a lui.
    Namaste, si chiamava così il ragazzo, era ormai alla frutta. Ogni giorno, al pensiero delle vessazioni a opera dell’infermiera, voleva uccidersi. Solo il cappello lo teneva su di morale, con tutte quelle filastrocche e quelle recite cantate.
    Un giorno Namaste decise di farla finita, prese un grosso coltello e se lo puntò alla gola. Tentò di spingere, ma il cappello – ohibò – cominciò a cantare e lo assordò a tal punto che perse la concentrazione e il coltello gli cadde di mano.
    Il signor Lusetti rientrò in casa proprio in quel momento. Incurante della scena che gli si palesava davanti, con il figlio raggomitolato per terra, un coltello sporco di sangue a poca distanza da lui, e il cappello che recitava poesie melodrammatiche e si disperava e piangeva – persino lui! – , Lusetti si girò e se ne andò, voltando le spalle al figlio come aveva fatto sempre nei diciannove anni precedenti.
    Fu allora che Namaste si alzò da terra e lo raggiunse nel corridoio; prima che il signor Lusetti se ne andasse gli urlò a gran voce che era un padre degenere e che mai, nella sua miserabile vita, aveva fatto qualcosa per lui, né in quel momento né prima d’allora.
    – Vedi, figliolo – gli rispose il padre, – tu mi hai rubato il cappello; non sei forse tu un figlio degenere? Non sei forse tu la mela marcia che risiede in questa casa? Non sei forse tu che sei costretto a prendere tutte quelle medicine, mentre tuo padre è sano e deve sobbarcarsi una disperazione come te? Pensaci, prima di addossare tutte le colpe a me.
    Così dicendo, uscì di casa. Vi avrebbe fatto ritorno solamente il mese successivo.

    In quel mese il figlio si uccise.
     
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  14. alaris

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    Kara...bellissimi e toccanti...
     
  15. kara.bina

    kara.bina Livello 2

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  16. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    sbaglio o sento echi di Gogol ;) (è casuale o è uno scrittore che ti piace?)
     
  17. Maurras

    Maurras Wanna be Elf , but proud to be Hobbit ! ;)

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    Ma si : dopo tanto tempo, posterò l'ultima cavolata prodotta dalla mia mente malandata... :p ;)

    L'anno scorso, dopo aver completato la mia prima run di Cyberpunk, presa dall'entusiasmo
    lasciatomi dal gioco ho cominciato a scrivere una FanFiction incentrata su V e il suo rapporto con Goro.
    (Ovviamente la fangirl che è in me avrebbe tanto voluto una possibilità di romance anche con quel personaggio.)

    Alla fine mi sono fermata al primo capitolo, il secondo lo ho iniziato ma non so se valga la pena continuare,
    anche perché (Per farmi veramente del male in senso di scrittura) ho scelto uno stile particolare.
    Dato che nel gioco V può essere chiunque infatti stavo scrivendo in modo da non far capire la sua identità:
    se fosse uomo/donna, europeo/asiatico etc etc... ^_^

    Il capitolo lo metto sotto spoiler perché appunto ne contiene parecchi, soprattutto su uno dei finali possibili.
    Se qualcuno avrà voglia di darci uno sguardo e lasciarmi un commento (anche critico) sarà il benvenuto/a <3 :*

    Where is my mind ?

    Quando V tentò di aprire gli occhi per la prima volta, una luce intesa glieli fece richiudere all’istante, ancora non aveva modo di capire dove si trovasse. Un forte senso di nausea saliva dallo stomaco al pensiero di tentare anche un solo movimento e sentiva la propria testa come se fosse passata in un tritasassi. Le uniche cose che ricordava di aver fatto prima di allora erano quel vigliaccio di Hellman in ascensore, quando erano scesi assieme verso il Mikoshi e pochi passi dopo, la fine di un rapporto tanto complicato quanto inteso: non era così che aveva immaginato dovesse essere il suo ultimo saluto a Johnny. La vista nel mondo virtuale non era mai stata nitida e chiara, ma ricordava bene lo sguardo triste e amaro che aveva ricevuto un istante prima di perdere conoscenza. Uno sguardo che adesso pesava addosso come una sentenza: la certezza granitica di aver fatto la scelta peggiore.

    ‘Perché è tutto così vuoto? Così confuso, così... sbagliato. ’

    Poco dopo riuscì a muovere piano la testa, rendendosi finalmente conto di essere in qualche tipo di ospedale, di sicuro lo sembrava. ‘Quindi mi hanno operato?’ Il pensiero banale prima che gli occhi, adesso umidi, si richiudessero lentamente lasciando che il sonno prendesse di nuovo il sopravvento sul suo essere ormai allo stremo.



    The way you smile, the way you walk, the time you took

    To teach me all that you had taught

    Tell me, how am I supposed to move on?
    These days I'm becoming everything that I hate


    Wishing you were around but now it's too late

    My mind is a place that I can't escape your ghost...”



    Le parole di quella vecchia canzone accompagnarono il suo risveglio, ma non c’era nessuna radio accesa in quella stanza. Aveva sempre amato la musica e fin da quando potesse ricordare non passava momento senza che la sua mente fosse in grado di riprodurre alla perfezione le melodie che in qualche modo segnavano la sua vita. “Wrecked” degli Imagine dragons in questo caso, perché era così che si sentiva: un relitto vivente.

    Si accorse che nel frattempo una dottoressa stava esaminando la sua cartella, ma quella presenza non era di conforto alcuno, c’era qualcosa di irritante nei modi di quella donna. La sensazione di quando sai già che qualcuno sarà soltanto capace di farti incazzare peggio che mai.

    “Riesce a sedersi?”

    Con che coraggio potesse chiedere una cosa del genere non riusciva a concepirlo, si limitò a scuotere la testa accennando un sorriso ironico.

    “Capisco.” Fece lei premendo un tasto del macchinario di fianco al letto, collegato alle sue vene. “Non potremo continuare con questo tipo di nutrimento ancora per molto, da domani dovrà cominciare almeno ad assumere liquidi per via orale. Manderemo una persona per assisterla.”



    Un incubo fatto realtà: questo era diventata la sua permanenza in quell'ospedale da quando aveva scoperto di trovarsi in orbita attorno alla Terra. I suoi movimenti erano ancora paragonabili a quelli di un ubriaco che non riuscisse a farsi passare la sbornia e aveva serie difficoltà anche nelle cose più banali come camminare sul tapis roulant. Odiava profondamente la dottoressa e i test inutili e frustranti che somministrava a cadenza quasi giornaliera.

    “Ho soltanto bisogno di tempo, non di queste stronzate.” Aveva ribadito più volte, ma era stato come parlare a un muro.

    Quando dormiva sognava quasi sempre Johnny o Jackie e si risvegliava col solo desiderio di distruggere ogni cosa, ma altre volte quando invece la sua mente era vuota, erano lacrime e sudore a segnare la sua veglia. ‘Che limite devono superare la rabbia e il dolore prima di farti saltare la testa?’


    Aveva perso la concezione del tempo, ma doveva esserne passato parecchio dato che il suo corpo cominciava a dare segni di ripresa e la dottoressa era diventata sempre più insopportabile.

    “Fatemi parlare con Hanako Arasaka, ho detto!” Le aveva gridato addosso dopo aver lanciato per l’ennesima volta contro la parete una versione semplificata del cubo di rubik, nonostante in questo caso lo avesse finalmente risolto.

    Ora che aveva recuperato buona parte delle sue facoltà e anche i pensieri si erano fatti meno caotici, aveva finalmente preso coscienza del motivo dietro alla sua scelta folle: si poteva mentire a tutti ma non a se stessi, era la stessa identica ragione per cui aveva rifiutato la corte di tutte le persone che avevano dimostrato un interesse ben oltre l’amicizia nei suoi confronti.

    Il desiderio di spaccare ogni cosa in quella dannata cella spingeva in ogni parte del suo corpo, le vene pulsavano di rabbia e il respiro affannoso, ma un gelido disprezzo verso tutto ciò che aveva attorno sfondò nei propri pensieri, portando con se la forza di controllare quella parte di se che era fatta di solo istinto.

    Ancora non sono un animale, non vi darò questa soddisfazione. Goro, che tu sia dannato, dove sei?’


    E niente, come detto sopra non riesco a decidere se valga la pena di andare avanti o se sia meglio lasciarla morire la. ;)
     
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  18. Alena Slowhand

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    da qualche parte in libreria ho uno o due testi di scrittori russi, e probabilmente sì: il nosense del racconto unito allo stile minimal e depresso proviene da lì
     
  19. Varil

    Varil Galactic Guy

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    Posto un estratto di testo di un libro che scrissi anni fa. Un diario psicologico-filosofico. Perdonate eventuali refusi e imprecisioni, ero un pischello che aveva un modo di scrivere molto più confuso e per nulla tendente alla "pulizia del testo", all'epoca.


    Tutto è bianco e confuso intorno a me. Nebbia si estende per miglia.
    Lentamente mi guardo intorno e comincio a camminare nel nulla.
    Sto aspettando qualcosa. Qualcosa di bello. Qualcosa di unico. Qualcosa di speciale. Sento questo istinto prorompente albeggiare dall'interno del mio Es.
    (attento che non venga sminuito dal Super-Io allora)
    Già.
    Aspetto qualcosa di forte, di magico, sento che sta arrivando questa forza inarrestabile come un'energia arcana, una tempesta di luce pronta ad abbattersi sugli scogli delle mie paure, un vento per cui dispiegare le proprie ali e lasciarsi spazzare via, volare via.
    E questo pensiero mi crea nella mente una frase che lessi anni fa, quanti? 3? 4? Era il 2011, quindi erano 4 , sì.
    Camminavo con un mio amico vicino ad un parco. Il mio amico era uno della setta dei nichilisti, accolito della confraternita oscura del decadentismo, del contorto, dell'intelligenza vista come una maledizione, dalla 'sensibilità delicata e fragile come bicchieri di vetro di pessima qualità', per usare parole sue, e inevitabilmente una delle persone con cui mi veniva più facile conversare, con un introverso.
    Perché introverso lo sono anche io (?).
    Mentre acceleravamo il passo sotto quel sole discendente verso il tramonto, in quel crepuscolo di un giorno di settembre, ultimi scampoli morenti di un'estate che era stata (possiamo dirlo no?) uno schifo (ma ho mai passato belle estati io? Sono come Harry Potter. Questa l'avete capita? Pensate alle estati di Harry nell'adolescenza allora), parlavamo del più e del meno. Non è vero. Spesso e volentieri, elucubravamo, tessevamo trame oscure nella luce diurna, esageravamo periodi e sintassi, portavamo fin troppi argomenti ai limiti estremi per poi concludere con delle reductio ad absurdum, manipolavamo valori morali, argomenti assoluti nell'immaginario collettivo per dissacrarli, parlavamo di trapianti di cervello nel futuro e dell'anima che se esistente sarebbe nel cervello (alcuni viaggiatori astrali del secolo scorso parlavamo di distacchi a volte nei pressi della ghiandola pineale, ma questa è pseudoscienza peggio di Scientology), parlavamo dell'io innato, delle modifiche a cui andiamo incontro, parlavamo della semplicità degli altri e di religioni fallaci.
    La frase che ricordo di allora fu mia. Anche se la definizione l'avevo letta da qualche parte.
    "In questo periodo sono terribilmente annoiato. Più del solito. Quasi vorrei tornare indietro. Rivivere tutto il periodo del liceo con l'esperienza e la maturità di ora " (ma quale maturità avevo a 19 anni? Ce l'ho perfino ora una maturità?) " Rifare tutto daccapo e cambiare il corso delle cose. Ma ormai è tutto andato e va bene così allora. Eppure mi annoio. Ho letto che la differenza sostanziale alla fine tra noia e depressione è una in particolare."
    "Quale?" mi chiese interessato il mio amico delle ombre cognitive ed emotive, anche se già intuivo che egli intuiva la spiegazione. Poteva essere tranquillamente qualcosa a cui era arrivato già da solo, una di quelle maledette intuizioni raggiunte attraverso ragionamenti e flussi di pensieri che si forzava in testa come droga, non poteva farne a meno, sì, di saltare giorni di scuola magari per restare disteso a letto a fissare il soffitto mentre pensava ai sensi del mondo e della vita, alle fenici che risorgendo dalle proprie ceneri in realtà sarebbero creature non immortali , ma sequenze identiche di uno stesso esemplare mortale, era fottuto, la sua più grande droga era il flusso di suoi pensieri, pensava 'robe, tanta fottutissima roba, di tutto, dalle cagate più infime ai concetti filosofici di sto cazzo', diceva lui.
    "Beh, nella noia , che è essenzialmente una componente abbastanza naturale nell'uomo (deriva dalla sua voglia repressa di 'giocare', di creare qualcosa, dalla sua voglia di qualcosa di positivo che non c'è) manca l'elemento della rassegnazione, o meglio, della negazione.
    Colui che è annoiato pensa 'Vorrei fare qualcosa, ho bisogno di qualcosa, anche se non so magari di preciso cosa, ma ne ho voglia'.
    Colui che è depresso dice..."
    "...non c'è nulla al mondo di cui io possa avere voglia" dicemmo praticamente insieme.
    "Si, esatto" continuai io "colui che è depresso è pienamente convinto che non esista nulla al mondo, niente che possa interessargli e che possa piacergli, nulla che possa cambiare il suo stato emotivo. Egli è un marinaio che si è arenato sugli scogli, un viandante che ha deciso di smettere di viaggiare. Colui che è annoiato, no. Colui che è annoiato è un eterno ricercatore del nuovo e dello speciale. Lui cerca, ha bisogno. Un bisogno spasmodico di sentirsi vivo. Solo che le circostanze attuali non glielo permettono.
    Ma in cuor suo, e questa è la cosa sana, sa pienamente, è convinto fortemente che ci sia , da qualche parte , nel mondo, qualcosa per lui. Lui cerca con cupidigia, come Sauron cerca l'anello. Lui vuole trovare il suo cataclisma, vuole trovare ciò che sarà la sua Nemesi, ma allo stesso tempo il suo angelo. Nemesi del suo io attuale, e l'angelo della sua trascendenza"
    Già, se c'è una cosa , un maledettissimo merito che mi si può attribuire è sempre stato almeno quello, da sempre, di voler cambiare. Io ho sempre voluto cambiare.
    Avrei sempre voluto uccidere ciò che ero, per diventare qualcun altro. Si, state leggendo ciò che di fatto non è che un poetico incipit per un'odissea che sarebbe stata la mia rivoluzione, questa potrebbe essere vista come la rappresentazione verbale del preludio a quella che fu la mia prima (ed ultima finora) rinascita!I o da sempre volevo cambiare. E forse proprio questa predisposizione mi portò al mio vero cambiamento, alla mia famosa rinascita.
    Lui mi disse : " Quindi tu non sei depresso, ma sei annoiato? Tu credi che ci sia da qualche parte, nel mondo, ciò di cui hai bisogno, vero?"
    Mentre camminavo, con i raggi di sole morente nel mare che si infiltravano tra i miei capelli, che allora erano anche di più e più lunghi, e più arruffati, da sbarazzino, risposi carico di solarità interna: "Sì, io sono sicuro", guardando il cielo.
    Qualche tempo più tardi, conobbi la mia stella, la stella nera che mai può essere eclissata, un angelo, della cui anima una parte era racchiusa dentro di me da sempre, colei che nel profondo, sotto tutta la maschera dell'intelligenza, dell'aspetto, di ogni cosa della superficie, era il mio nucleo gemello.
    E amai me stesso, nel guardarmi in quel meraviglioso specchio che lei era per me, ma più di tutti amai lei, e lei amò me...
     
    Ultima modifica: 8 Aprile 2023
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  20. f5f9

    f5f9 si sta stirando Ex staff

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    eri già un "buontempone" anche da ragazzino, eh! :emoji_grin:
    vabbè, le depressioni adolescenziali portate dall'insicurezza penso siano inevitabili, ci siamo passati tutti ;) (e non è detto che siano superabili)
    mi spiace un po' non essere in grado di arricchire questo amabile 3ad ma purtroppo...
    anch'io, ogni tanto e se mi ricordo, trascrivo qualche mio pensierino in un file ben nascosto nei meandri dell'HD
    sono un grande fan di Flaiano, per cui mi rendo conto che sono stupidate e non aforismi, in più sono tutti talmente osceni e blasfemi (anch'io, come ottimismo! :emoji_blush:), che se ne pubblicassi anche solo uno farebbero chiudere il forum :emoji_disappointed:
     
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